Kefàli trasforma le cicatrici in “Oro” nel suo nuovo singolo, un manifesto sociale contro pregiudizi e body shaming
“Non mi pento dei momenti in cui ho sofferto, porto su di me le cicatrici come se fossero medaglie”, scrisse Paulo Coelho, e dalle ferite animiche e fisiche hanno tratto ispirazione e consiglio i più illustri pensatori, filosofi, poeti e scrittori di ogni tempo. Ma in una società come la nostra, sempre più incline ad etichettare come sbagliato il diverso, vestendolo di preconcetti e confinandolo ai margini, le cicatrici e i cosiddetti “inestetismi” equivalgono ad imperfezioni capaci di scalfire e ledere chi le indossa ben oltre la superficie a cui si riferiscono. Proprio da questa visione distopica e deleteria, ad esclusivo appannaggio dell’apparenza, nasce “Oro” (Cosmophonix Artist Development/Altafonte Italia), il nuovo singolo della cantautrice, attrice e scrittrice bergamasca d’adozione newyorkese Kefàli.
Dopo aver dato prova non soltanto della sua abilità tecnica, ma anche dell’emozionalità di cui sono intrise le sue composizioni e le conseguenti interpretazioni, l’artista che ha incantato pubblico e critica con il suo manifesto sul fardello delle aspettative sociali “Please”, torna a regalarci uno spaccato di verità e purezza che trae dall’antichissima tecnica di restauro giapponese Kintsugi per impreziosire di prestigio e valore tutte le tracce, evidenti o impercettibili, lasciate sul corpo e sull’anima da esperienze dolorose pregresse.
Nata con l’atresia polmonare a setto intatto, cardiopatia congenita rara e complessa, Kefàli si schiera da sempre in prima linea per sensibilizzare giovani e meno giovani sulle tematiche dell’accettazione e dell’inclusione, e dopo aver fondato l’Associazione La Musica del Cuore ed aver scritto il suo primo libro in cui racconta non soltanto la malattia e la connessione spirituale con gli altri pazienti, ma trasmette anche un importantissimo messaggio di speranza, gioia e sicurezza, mostra al pubblico la parte più autentica, intima e sincera del suo percorso, allontanandosi dalla rincorsa di canoni estetici imposti, per avvicinare tutti noi alla riscoperta della nostra straordinaria bellezza personale.
«Due vite che si intrecciano» in una, e come un pregiato e indissolubile ordito, tessono l’anima in perfetta armonia con la trama delle emozioni, generando un vivacissimo bagliore capace di trasformare la sofferenza in esperienza attraverso la fusione di dolore e rinascita – «come oro brillerò in questa luce fatta di riflessi, di noi» -, che porta in essere un’irripetibile ed unica al mondo opera di tessitura, quella della storia, della vita, di ciascuno di noi.
«”Oro” – dichiara Kefàli – è una canzone che parla di accettazione e diversità, di dolore e di gioia. Ispirata dalla tecnica giapponese del Kintsugi, vuole portare alla luce le cicatrici visibili e non che tutti noi ci portiamo dentro o sulla pelle. Quando una ceramica si rompe all’improvviso, in Giappone non viene buttata, ma riparata con l’oro. Questo perché le linee di rottura lasciate visibili, diventano delle vere e proprie opere d’arte».
Opere d’arte di intensa bellezza, capaci di ricordarci che da quelle apparenti imperfezioni, possono nascere nuove forme di assoluta perfezione, estetica ed interiore.
«Le nostre cicatrici – conclude l’artista – sono quelle piccole rotture, imperfette ma allo stesso tempo preziose, perché spesso sono l’unico motivo per cui molti di noi sono ancora qui. “Oro” vuole essere un inno volto ad aiutare chi le porta ad imparare ad amarle – e ad amarsi – un po’ di più, sfidando la società a non fermarsi in superficie, bensì a guardare dietro, oltre, dentro. Le nostre storie sono ciò che ci rende unici e le nostre cicatrici sono la testimonianza del nostro vissuto. Questa canzone è per loro».
“Oro” è accompagnato dal videoclip ufficiale, che, presentato in anteprima nazionale su Sky TG24, verrà rilasciato nel corso delle prossime settimane.
Un brano dal fortissimo valore emozionale, in grado di sfiorare e accarezzare le corde più profonde del nostro universo interiore e di sanare, con la terapia dell’accettazione e della condivisione, tutte quelle ferite che altro non sono che un’opera d’arte che ci ricorda la meraviglia sita nell’essere vivi.