Musica contro la guerra: Gianpaolo Pace e Lorenzo Santangelo commuovono nella loro suggestiva denuncia elettro-pop-rock “Non in nome mio”
Alcuni brani non hanno bisogno di essere incasellati in stagioni per echeggiare come veri e propri successi sin dal primo ascolto, perché danno forma e voce a contenuti senza tempo, tematiche di fondamentale importanza per cui non si spenderà mai una parola, una canzone, di troppo. E così, dopo aver guidato il pubblico in un intensissimo viaggio intergeneris sul decadimento umano frutto dell’attuale regresso sociale nell’illuminante album “Esclusi i presenti”, il cantautore e musicista torinese Gianpaolo Pace torna a sviscerare i più cupi ed angusti anfratti del terzo millennio in “Non in nome mio” (PaKo Music Records/Believe Digital), il suo nuovo singolo che lo vede al fianco di Lorenzo Santangelo.
In un emozionante e riflessivo intreccio di rock, pop ed elettronica, si staglia un’asprissima, ma al contempo meravigliosa nella sua crudezza, denuncia nei confronti delle guerre che imperversano sul pianeta, che grazie all’ineccepibile capacità evocativa dei due artisti, proietta istantaneamente l’ascoltatore in una dimensione narrativa che non lascia spazio a congetture – «orfani di un dio che porta l’apocalisse chiamandola democrazia» – e giustificazioni – «non è normale manipolare la realtà, che una bugia se ripetuta poi diventi verità» -, volgendo particolare attenzione ai conflitti più lontani dall’Occidente e, per questo, molto spesso ignorati.
In quel «non è normale mettersi le mani sopra gli occhi e fare finta che il problema non ci tocchi», è racchiusa la chiave di lettura di un testo di incredibile levatura, pervaso da profonde riflessioni, che invita ciascuno di noi a non voltare lo sguardo dinanzi alle barbarità commesse da uomini alla deriva, in nome di «ordini di un dio seduto al tavolo di qualche banca d’oltremare».
Nell’assordante bang di mitragliatrici imbracciate da «bambini soldato» che marciano «in silenzio al tramonto» con lo stesso terrore negli occhi di coloro contro cui le svuotano – «ho visto sparare soldati per paura di morire» -, svuotando con esse anche l’innocenza delle loro anime rubate a madri che rimangono «senza dei da maledire», Gianpaolo e Lorenzo portano a galla le «lacrime mischiate con macerie, bombe e fumo», con una sensibilità e una finezza di spirito capaci di attraversare le orecchie per arrivare e trafiggere il cuore con la lama della verità, perché «giustificare la follia» e «dire sempre tanto non è colpa mia», non è meno disdicevole delle terribili azioni commesse da chi, tutt’oggi, continua ad appoggiare, commissionare e foraggiare eccidi, stermini e devastazioni in ogni angolo del pianeta.
«Questo brano – dichiara Gianpaolo Pace – è nato dopo aver visto un documentario sulla guerra, presentato durante il telegiornale, all’ora di pranzo. Il reportage era stato realizzato da un fotografo sui campi di guerra in Siria. Le immagini mi avevano scioccato al punto da non riuscire a crederci. Erano di una durezza e di una crudeltà inaudite e questo mi ha portato a vedere la guerra con occhi diversi. Ho immaginato di scorgerla con gli occhi del fotografo, un essere umano che, per documentare ciò che stava accadendo, rischiava la vita ogni giorno, secondo dopo secondo, con le bombe che gli scoppiavano a pochi metri di distanza, falciando le persone con tutte le loro storie, le loro vite, i loro sogni. Tutti civili, comunissimi mortali che perdevano madri, padri, sorelle, fratelli, amici. Puoi restare indifferente e continuare a mangiare, come stavo facendo io, certo…Oppure, puoi fermarti e cominciare a riflettere. Scriverci una canzone è stato fin troppo naturale e ho coinvolto Lorenzo Santangelo perché sapevo che ci saremmo subito trovati sulla stessa lunghezza d’onda».
Prodotto da Roby Grafio di Atomiche Produzioni, mixato da Fabio Morese di nowmixstudio e masterizzato da Alessandro Ciola di Imagina Production, “Non in nome mio” valica il concetto di canzone e, attraverso la musica, sfiora i popoli di ogni credo e cultura con l’intento di risvegliarne coscienza, empatia e senso civico, ponendo a ciascuno di noi un unico quesito, «in nome di che dio avete calpestato vite come foglie?», al quale un dio che crea e vigila con incondizionato amore sui propri figli, risponderebbe senza esitazione alcuna «Non in nome mio».